Novembre 23, 2024

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È quanto stabilito dalla Cassazione penale, sentenza 28 aprile 2017, n. 20281, la quale ha confermato la condanna della Corte di Appello di Lecce di due titolari di palestre del brindisino imputati in conseguenza di un’apposita inchiesta operata dalla Guardia di Finanza dopo che erano state rinvenute schede alimentari per i propri utenti, nell’ambito di una più ampia operazione volta proprio al contrasto di tali fenomeni.

Nella fattispecie, già in primo grado il Tribunale di Brindisi aveva appurato come nessuno dei due ricorrenti fosse in possesso di un titolo abilitativo di dietista o biologo, ritenuto indispensabile per prestazioni di questo tipo, nonostante, fossero state rinvenute presso i centri gestiti dagli imputati “ plurime schede alimentari personalizzate, con indicazione delle caratteristiche fisiche di ogni cliente sottoposto a valutazione, espresso diario alimentare con limitazione temporale di validità di tali indicazioni e previsione di revisione delle prescrizioni alle date indicate ”.
In ragione di tali elementi probatori, la lettura “ riduttiva degli eventi ” prospettata dagli imputati che evidenziavano l’erronea ricostruzione formulata dal Tribunale prima e dalla Corte d’Appello poi, ritenendo sussistente la sola “ elargizione di generici consigli alimentari ”, anche per i giudici di legittimità non risulta essere fondata rispetto la differente realtà ricostruita dai giudici territoriali.

Nel caso in oggetto, per la Suprema Corte, “ l’individuazione dei bisogni alimentari dell’uomo attraverso schemi fissati per il singolo con rigide previsioni e prescrizioni ”, è prerogativa esclusiva del medico biologo o di altre categorie professionali per le quali è comunque prescritta una specifica abilitazione (medici, farmacisti, dietisti).

In nessun caso, quindi, tali competenze possono essere esercitate “ proprio per le ricadute in termini di salute pubblica che tali prescrizioni assumono ”, da persone “ prive di competenza in tema sanitario ”.

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