SE QUESTO E’ UN UOMO (Primo Levi)
Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e i visi amici:
considerate se questo è un uomo,
che lavora nel fango,
che non conosce pace,
che lotta per mezzo pane,
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna
senza capelli e senza nome,
senza più forza di ricordare,
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore,
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca
i vostri nati torcano il viso da voi.
Primo Levi è nato a Torino nel 1919 e dopo essersi laureato è stato catturato dai nazisti nel 1944 e deportato poi nel campo di concentramento di Auschwitz. Dopo un lungo viaggio arriva in campo, viene spogliato di tutti i suoi averi, i suoi capelli vengono rasati e per essere riconosciuto gli viene tatuano sul braccio il numero 174 517. Da quel momento il poeta ha perso ogni suo diritto e viene costretto a lavorare come se fosse uno schiavo, o un animale.
Esprime il suo odio e il suo disprezzo nei confronti di questo fenomeno con una poesia: ”Se questo è un uomo“. Questa introduce poi, il suo libro.
Questa poesia, racchiude in sole cinque strofe la vergogna che si prova quando si pensa a quante ingiustizie sono state commesse contro gli Ebrei.
La sua poesia si può dividere in tre parti.
Nella prima comincia nominando le persone a cui sono dirette le sue parole, cioè a noi, suoi lettori, che Restiamo sicuri nelle nostre case tiepide e che una volta tornati a casa troviamo il cibo caldo in tavola e le persone amiche o i familiari.
Proseguendo Levi, (seconda parte) ci invita a riflettere chiedendo se si può considerare un “uomo” a colui che lavora nel fango, che non conosce un attimo di tregua, che lotta ogni giorno per un pezzo di pane e la cui vita è sospesa tra un semplice sì o un semplice No. Donne a cui è stata tolta ogni dignità, “vuoti gli occhi e freddo il grembo”, rese sterili dai trattamenti e abusi subiti dai nazisti.
Infine, l’autore si rivolge nuovamente al lettore, invogliandolo a ricordare per sempre ciò che è accaduto, a raccontarlo continuamente per generazioni e generazione in modo che questo scempio non si ripeta.