Novembre 21, 2024

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Così come Falcone e Borsellino, così come la loro solitudine e il lavoro notturno, così come le porte blindate e una vita negata; anche Di Matteo lavoro nel silenzio dello Stato. La prima volta che ha indossato la sua toga di magistrato era notte. Quella del 24 maggio 1992. Ancora uditore giudiziario, faceva il picchetto d’onore fra le colonne di marmo del Tribunale di Palermo. Stava lì, in piedi davanti alle bare di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo. Sono passati più di vent’anni da quando abbiamo conosciuto Nino Di Matteo, immobile in mezzo all’immenso atrio illuminato solo dai ceri. Ce la ricordiamo tutti quella notte. Il buio, il silenzio, il dolore, la paura. Poi l’altra bomba, l’altro picchetto d’onore del 19 luglio. A volte si chiede se sia giusto andare avanti. Leggiamo sue interviste in cui razionalmente afferma che può non valerne la pena, ma poi un impasto di sentimenti si fa largo e lo trascina ad una sola risposta: “ne vale la pena, è giusto così”, dice lui in alcune interviste.

NINO DI MATTEO È mattino presto quando il pubblico ministero minacciato di morte da Totò Riina e minacciato da lettere anonime con lo stemma della «Repubblica italiana» si china su una scrivania coperta di fascicoli, verbali di interrogatorio, note riservate. Le carte della trattativa su Stato e mafia. Non quelle del processo che si sta celebrando contro l’ex ministro degli Interni Nicola Mancino e gli ufficiali dell’Arma insieme ai boss, le altre, quelle dell’indagine che continua oltre il processo. Sono le carte che lo costringono a vivere come un sepolto vivo, dentro un mondo protetto da tutto e da tutti. «Diciamo che è una coincidenza: l’ordine di morte partito da Riina e tutti quegli anonimi sono arrivati in sincronia quando, anche dopo il rinvio a giudizio degli imputati, con i miei colleghi abbiamo deciso di non fermarci con l’inchiesta», racconta questo magistrato palermitano che è sotto scorta dal 1993 («La mafia di Gela, volevamo farmi fuori»), ha 51 anni, moglie e due figli, padre avvocato e nonno giudice. Un’altra vita, sottratta alla vita… dalla mafia!

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