Risarcimento per ritardo aereo: sufficiente presentare il titolo di viaggio
“Per chiedere il risarcimento a causa del ritardo aereo è sufficiente presentare il titolo di viaggio e allegare l’inadempimento del vettore: sarà la compagnia aerea, invece, a dover dimostrare la propria correttezza e la propria non colpevolezza per il problema lamentato dal viaggiatore.” In particolare, il passeggero evidenziava come, a causa di un ritardo di 4 ore subito dal suo volo, aveva patito l’ulteriore danno di non potersi imbarcare su un secondo volo per raggiungere la propria residenza.
Il giudice d’appello, tuttavia, respingeva il gravame del passeggero osservando come, nonostante la Convenzione di Montréal e altre norme facciano gravare sul vettore aereo la prova liberatoria, la presunzione di colpa del vettore presuppone che sia stato però dimostrato il ritardo.
In pratica, secondo il giudice, non sarebbe sufficiente per il passeggero limitarsi a provare l’esistenza del contratto di trasporto (ossia l’avvenuto acquisto del biglietto aereo) e allegare il ritardo del volo, ma questi dovrebbe fornire la prova piena anche di questo secondo elemento, gravando sul vettore il solo onere della prova liberatoria.
Cassazione: sufficiente il titolo di viaggio per chiedere il risarcimento da ritardo aereo
Un costruzione non condivisa dalla Corte di Cassazione che accoglie l’ulteriore impugnazione promossa dall’uomo. In particolare, gli Ermellini offrono chiarimenti in ordine all’ampiezza dell’onere probatorio gravante sul passeggero che intenda agire in giudizio nei confronti del vettore aereo chiedendo il risarcimento dei danni da ritardo.
I giudici evidenziano come entrambe le normative applicabili alla materia del contendere (la Convenzione di Montréal e il Regolamento CE n. 261/2004) non dettino una regola specifica in ordine alla prova dell’inadempimento e alla durata del ritardo, ma si basano sull’affermazione del principio di presunzione di responsabilità del vettore aereo.
Tale presunzione, precisa la Cassazione, opera sul piano dell’imputabilità dell’inadempimento, ai sensi dell’art. 1218 c.c., e non su quello della prova oggettiva dello stesso. Quindi, in assenza di una norma speciale sul punto, per i giudici è necessario ricorrere ai criteri ordinari di riparto dell’onere della prova, di cui all’art. 2697 c.c., e alla consolidata giurisprudenza di legittimità.
Costituisce, infatti, vero e proprio ius receptum il principio di diritto secondo cui, in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento.