Novembre 21, 2024

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Un regolare consumo di soia aiuta a ridurre il rischio di cancro ormone-dipendente, in particolare di quello alla prostata e al seno, di fatto le donne asiatiche che utilizzano quotidianamente soia si ammalano di cancro al seno 5 volte meno rispetto alle donne occidentali, tuttavia gli oncologi sconsigliano il consumo di questa leguminosa alle donne con tumore alla mammella in terapia antitumorale. Questo perché studi scientifici hanno dimostrato che chi consuma regolarmente soia, già prima di ammalarsi di cancro al seno ha un minore rischio di recidive, pari al 7% ,e una migliore risposta al tamoxifene, il farmaco utilizzato contro questo tipo di cancro, rispetto a chi inizia a consumare soia dopo la comparsa di cancro al seno, in cui le recidive sono, invece, del 33% e la soia stessa inibisce l’azione del farmaco anti-tumorale. Questi effetti sono dovuti agli isoflavoni presenti nella soia: ginesteina, daidzeina e gliciteina, si tratta di fitoestrogeni, ossia molecole che hanno un’azione simile agli estrogeni, in quanto ne legano gli stessi recettori innescando gli stessi effetti degli estrogeni; in chi inizia a consumare soia dopo la comparsa del cancro queste molecole presenti nella soia simulando gli estrogeni agiscono stimolando la proliferazione delle cellule cancerose. Sarebbe quindi buona abitudine per tutti consumare abitualmente soia ma farlo con moderazione come per tutti gli altri legumi così da poter trarne anche gli altri benefici che essa offre:
– Aiuta a ridurre significativamente il colesterolo cattivo, LDL, prevenendo così patologie cardiovascolari, in quanto ricca di acidi grassi insaturi, grassi buoni, priva di colesterolo e ricca di fibre;
– le fibre in essa presente inoltre aumentano il senso di sazietà e aiutano a regolarizzare l’intestino;
– è utile a ridurre l’accumulo di trigliceridi a livello epatico;
– riduce la glicemia.

Agendo in maniera simile agli estrogeni le si attribuisce il potere di ridurre i sintomi della menopausa come caldane e osteoporosi ma in realtà l’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) dichiara che gli studi scientifici ad oggi disponibili non sono sufficienti e significativi a dimostrare tale tesi.

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