Puzza di fritto, per la Cassazione, diventa reato
A stabilirlo la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14467/2017 depositata il 24 marzo scorso dichiarando colpevoli del reato ex art. 674 c.p. i proprietari di un appartamento in condominio per aver provocato continue immissioni di fumi, odori e rumori molestando i vicini del terzo piano.
A nulla sono valse le doglianze degli imputati circa la non estensibilità analogica dell’art. 674 c.p. alle emissioni di odori, né come asserito, che la dottrina maggioritaria ritiene necessario “che le emissioni siano atte ad offendere, imbrattare o molestare le persone e che siano vietate dalla legge, mentre nella fattispecie si trattava di emissioni di odori di cucina che, per loro natura, non erano atte ad offendere, imbrattare o molestare le persone e che certamente non erano vietate dalla legge“.
Secondo la Suprema Corte, infatti, la contravvenzione prevista dall’art. 674 c.p. è configurabile anche nel caso di “molestie olfattive” a prescindere dal soggetto emittente, con la specificazione che quando non esiste una predeterminazione normativa dei limiti delle emissioni, si deve avere riguardo, condizione nella specie sussistente, al criterio della normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c., che comunque costituisce un referente normativo, per il cui accertamento non è necessario disporre perizia tecnica, potendo il giudice fondare il suo convincimento, come avvenuto nel caso di specie, su elementi probatori di diversa natura e dunque sulle dichiarazioni delle persone offese e del tecnico di loro fiducia.